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Ruvidoliscio, alle origini del ballo di sala

Sabato scorso, 10 maggio, il gruppo musicale veronese dei Folkamazurka ha presentato alla dine& music La Fontana di Avesa (Verona) il suo ultimo lavoro “Ruvidoliscio”, una sorta di recupero e riproposizione di alcuni pezzi classici del liscio tradizionale datati fine ‘800 e prima metà del ‘900, composti talvolta da eccellenti musicisti e quasi tutti provenienti dalla musica popolare. Un’operazione che secondo le intenzioni dei musicisti doveva servire a “ripescare” le origini della musica e del ballo liscio

Nella presentazione dell’evento (probabilmente redatta da Livio Masarà, violino e voce del gruppo) si cita Migliavacca, Pattacini, Pezzolo e si accenna all’etimologia della parola “liscio” offrendo una possibile spiegazione: “…polka, mazurca, valzer, scottish- e solo più tardi - tango e foxtrot, aiutano i ballerini a rimanere sempre più aderenti al pavimento, quasi strisciando….”

L’operazione è comunque risultata veramente interessante, sia per l’originalità dei pezzi presentati, sia per la qualità degli esecutori. Afredo Nicoletti, Claudio Moro, Livio Masarà, Massimo Muzzolon e Nicola Berti sono sicuramente fra i migliori musicisti che offre la piazza veronese ed avere l’opportunità di ascoltarli insieme è sicuramente un’esperienza molto entusiasmante.

La circostanza risulta molto interessante anche se la si osserva e la si analizza da un’altra angolazione, perché potrebbe sortire un duplice effetto, forse non ricercato dagli artisti, ma di fatto possibile.

Da un lato potrebbe favorire l’avvicinamento del popolo dei ballerini e dei musicisti popolarial liscio autentico e “tradizionale”: operazione molto facile da realizzare e – se vogliamo – quasi scontata. Dall’altro lato – e qui la faccenda si fa più complicata – potrebbe avvicinare il “popolo del liscio” alla riscoperta delle musiche e delle danze popolari.

Cosa si vuole sostenere con queste tesi. In buona sostanza è facile “stuzzicare” l’universo delle “danze popolari” con le musiche e i balli legati al così detto liscio tradizionale, meno scontata (e questa potrebbe essere la vera scommessa) è l’operazione contraria: la possibilità cioè di avvicinare e sollecitare alla riscoperta del “popolare” l’infinito (quasi) universo dei musicisti e dei ballerini del ballo di coppia italiano.

E’ una forzatura? Può darsi! E’ una provocazione? Certamente! Provate a riflettere: quando un gruppo di musicisti del calibro dei Folkamazurka (con una fortissima connotazione e tradizione popolare alle spalle) compie uno scarto di questo livello, non credo che non stimoli più di qualche riflessione sia nel mondo popolare che in quello attiguo del liscio tradizionale. E comunque il tentativo di riallacciare il filo fra i due diversi mondi ci sta tutto.

L’augurio è che questo accada al grido di battaglia “riprendiamoci tutta la musica (e la danza) tradizionale”. Quella nobile e quella meno nobile, anche se sfido chiunque a provare solo a pensare che si possa dividere in categorie questa musica e questi balli o fare delle distinzioni del genere.

Massimo Rimpici

Verona, 15/5/2008

SE VOLETE, QUESTA BREVE RIFLESSIONE LA POTETE TROVARE ANCHE SUL BLOG DI CALENDARFOLK PER POTER ESSERE - EVENTULMENTE - COMMENTATA

The World Fleadh, Irish & Celtic Music Festival

6-12 agosto 2007 - Portlaoise (Irlanda)

(Pubblicato sulla rivista F.B. Folk Bullettin nella rubrica "IO C'ERO" - ANNO XIX - NUMERO 236 - Novembre 2007)

“I due edifici principali della città sono il grande ospedale psichiatrico e il carcere di massima sicurezza. A meno che non abbiate in programma di uscire fuori di testa o assassinare qualcuno non avrete motivo di trattenervi in città.” Così recita la guida turistica Lonely Planet a proposito di Portlaoise, capoluogo della Contea di Laois. E’ qui che dal 6 al 12 agosto del 2007 si è celebrata la seconda edizione di The World Fleadh, Irish and Celtic Music Festival, una delle tante rassegne dedicate alla tradizione musicale irlandese che si svolgono sull’isola verde. Nello stesso periodo (8-14 agosto) è stata presentanta la ventesima edizione di The Feakle Festival, International Festival of Traditional Irish Music, nella Contea di Clare, entrambe con workshops, ceilìs, ma soprattutto concerti di musica tradizionale.

Portlaoise non è diversa da molte altre cittadine irlandesi: tanti pub, uno vicino all’altro, tutti diversi eppure tutti uguali, che si alternano a supermercati, negozi di souvenir, macellerie e quant’altro si trova nei paesi e nelle cittadine dell'Europa continentale. Non è più bella o meno bella di altri luoghi, ma forse la voglia di affrancamento per la nomea di centro noto solo per il grande ospedale psichiatrico e il carcere di massima sicurezza hanno dato il coraggio a questa modesta città di provincia di proporsi come luogo di incontro culturale.

Prevenuti dopo la lettura dalla guida, ci aspettavamo un luogo triste, grigio e malinconico, con sorpresa abbiamo invece scoperto un capoluogo vivace e colorato, pieno di vita e con molta voglia di riscatto, forse con l’unica “colpa” di essere lontano dalla costa e dalle numerose meraviglie naturali che offre l’Irlanda.

Il carnet della manifestazione presentava un cast di protagonisti di buonissimo livello. Solo per citare qualcuno, il menù dell’evento proponeva i Gràda, i Celtic Fiddle Festival, i Flook e gli Slide .

Personalmente ho avuto il piacere di assistere – il 6 agosto - al concerto, al Dunamaise Arts Centre, di Mìcheàl O’ Sùilleabhàin and special guests. Sul palco, ad esibirsi insieme al professore della Irish Chamber Orchestra, il figlio d’arte Mel Mercier (bodhran), il neozelandese Brendan Power (armonica a bocca cromatica), la Carlon String Quartet (un violoncello, una viola e due violini tutto al femminile) e la famosissima Karan Casey.

Divenuto internazionalmente celebre per il suo inconfondibile ed originale stile di eseguire al pianoforte la irish music, il maestro O’ Sùilleabhàin, già responsabile dei professori di musica della University of Limerick, si è alternato ora con l’uno ora con l’altro degli special guest per offrire un florilegio di pezzi unici, espressioni di un magico equilibrio fra il classico e la tradizione. L’inizio è di quelli non conformisti: un bodhran che dialoga con un serissimo ed altero pianoforte a coda, poi un altro duetto più tradizionale, con l’armonica a bocca, quindi l’incontro del professore con il quartetto d’archi: l’irish che si sposa con le note della musica colta, la più colta, quella vestita da sera, in abito lungo. E allora il festival si trasforma in sala da concerto e la irish music in …musica da camera. O’ Sùilleabhàin un artista eclettico? Sicuramente un musicista completo, che spazia dal folk alla musica concertistica e le sue note così dolci e sublimi sembrano quasi materializzarsi in farfalle leggiadre e felici che svolazzano fra le mille sfumature di verde della campagna irlandese. Ad un certo punto della performance il maestro deve interrompere il concerto per un crampo dolorosissimo alle dita della mano destra e allora Mercier e Power sono “costretti” a cimentarsi in un duetto non programmato. Il risultato è un’improvvisazione da pelle d’oca, sicuramente uno dei momenti più alti della serata.

Infine l’incontro dell’anziano compositore con una delle icone femminili delle voci irish: Karan Casey. Il gran finale - e non poteva essere altrimenti - vede sul palco il cast al completo, il maestro e tutti i suoi ospiti speciali, in una fusion dai contorni indefiniti ma rigorosamente organizzata nel solco indelebile della musica tradizionale irlandese.

Anche il borderò della TWF Céili Dome, area dedicata ai set di danza, proponeva un menù di tutto rispetto: dalla Five Counties Céili Band, alla Kilfenora Cèili Band; dalla Matt Cunningham Band alla Abbey Céili Band, oltre ai workshop di musica e di danza.

Visitare l’Irlanda, avendo la possibilità di assistere e partecipare a simili eventi vuol dire cogliere anche le sfumature più particolari del clima tipico di quel Paese. Pub e musica tradizionale irlandese, Guinness e step dance fanno parte dell’indole più profonda dell’animo irlandese. Aver avuto l’occasione di assaporare quelle atmosfere consente di “avvicinarsi”, di scoprire (almeno in parte) il carattere intimo di un popolo. Gente orgogliosa, ma gentile e molto ospitale, che ha sofferto e che va fiera delle proprie radici e tradizioni.

Massimo Rimpici

 

 

Profumo d’Irlanda in riva all’Adige

Quinta edizione scaligera del St. Patrick’s Day. La presenza di musicisti blasonati, la formula accattivante e la buona organizzazione (del GRDP, Gruppo Ricerca Danza Popolare di Verona) hanno decretato il pieno successo della manifestazione.

(Pubblicato sulla rivista F.B. Folk Bullettin nella rubrica "IO C'ERO" - ANNO XIX - NUMERO 233 - Giugno 2007)

Non era mai successo che riuscissimo a riempire un teatro con una nostra iniziativa. Domenica 18 marzo invece è accaduto proprio questo: cinquecento persone in via Cantarane, al teatro Camploy, per la quinta edizione veronese del St. Patrick’s Day. Una incredibile sorpresa! Mentre smistavamo in teatro gli ospiti, i “riservati”, gli amici, i mai visti prima, ci chiedevamo: sono stati gli artisti prestigiosi o la nostra organizzazione - ormai ben collaudata - a far confluire a teatro tanta gente (per Verona!) per un evento così particolare? Probabilmente (e salomonicamente) le due combinazioni si sono fuse insieme. Dobbiamo però descrivervi il teatro - ricostruito e ristrutturato qualche anno fa - per farvi capire meglio il clima, l’atmosfera generale che si respirava per l’occasione. Difronte all’ingresso il palco, di legno, molto grande per le dimensioni della sala. Difronte al palco i posti a sedere, tutti “a gradinata”. L’effetto è molto coinvolgente: gli artisti si sentono “avvolti” dal calore del pubblico! Gli ospiti del Camploy sono sempre rimasti piacevolmente sorpresi da questo effetto prodotto dal teatro scaligero.

Ma prima di proseguire, dobbiamo fare un passo indietro. Infatti la giornata era iniziata alle tre del pomeriggio, in un altro piacevole luogo, ideale per una festa ceìlì, ovvero per un’altra qualsiasi festa a ballo: la sala polifunzionale di Caselle di Sommacampagna, località a pochi chilometri da Verona. Protagonisti - omai ospiti fissi delle edizioni green veronesi, gli Inis Fail in formazione Ceílí Band - che hanno trascinato ed emozionato, con la consueta energia e la competenza stilistica che li distingue, i ballerini organizzati in set. Onestamente non abbiamo contato tutti i set, ma sicuramente non erano meno di dodici: per un totale di almeno un centinaio di danzatori. Tutti “pezzi” da ballo, ovviamente, da quelli più noti della tradizione della Set Dancing quali il Clare Lancers Set, il Plain Reel Set, il Cashel Set, il Ballyvournye Jig Set ecc. ad altri meno conosciuti e di più recente codificazione quali il Kilfenora Set, oltre ad alcune ceílí quali la Sweets of May e un memorabile Circolo Circassiano con la partecipazione non solo dei ballerini provetti ma anche di tutti i curiosi intervenuti alla festa, una preview emozionate, molto stimolante per prepararsi adeguatamente all’evento clou previsto in serata: il concerto di Alan Kelly & Moasaic con Arty McGlinn (preceduto in apertura di serata dall’esibizione degli Inis Fail in versione Band), per un'intensa giornata piena di stimoli e ...di profumo d'Irlanda.

L’edizione di quest’anno ha rappresentato un momento di vitalità, di suggestione, in cui si sono lasciati coinvolgere sia i partecipantigià "contaminati" dalla passione per l'Isola Verde, sia chi si avvicinava per la prima volta alle sonorità e ai ritmi della musica e della danza celtica.

La Band irlandese ci ha regalato alcuni brani dal loro ultimo album, tra cui Eva’s Reel, Earl Gray, Martin Wynne’s oltre ad una magnifica Jota da Maia, brano che appartiene alla tradizione asturiana, e ancora Red Haired Lass, Beautiful Lake Ainsle e Dancing Eyes, solo alcuni tra i brani più noti che hanno dato modo di apprezzare il talento di Alan Kelly e del giovane Tola Custy e la classe intramontabile di un impareggiabile Arty McGlinn.

Il festival si è confermato come uno degli appuntamenti celebrativi della cultura irlandese più significativi del nord Italia. E la partecipazione del pubblico ha premiato gli sforzi degli organizzatori (Gruppo Ricerca Danza Popolare di Verona) che, con la collaborazione del Comune di Verona, con il sostegno della Provincia di Verona e di vari sponsor, sono riusciti a portare al teatro Camploy alcuni tra i più prestigiosi nomi della musica irlandese, accompagnati per certi brani - in una formula molto accattivante – dalle performances di due note ballerine di irsih step dance, Mary McDonagh, reduce dal famoso show Celtic Legends, e Fergal Keaney, che ha sostituito degnamente l'altro ballerino in cartellone assente per infortunio.

La finalità benefica dell’evento – ormai consolidata dalle ultime due edizioni- ha reso il segno della manifestazione totalmente positivo: il festival ha donato a favore dell'Associazione per il Bambino in Ospedale, co-patrocinatrice del quinto allestimento, ben 2.700,00 euro, per la realizzazione del progetto di aiuto ai bambini ospedalizzati "Un sorriso in corsia".

di Massimo Rimpici, Gianpaolo Merlin e Alberto Giacomello

 

 

 

 

 

 

Terrasonora vince la 14° edizione di Folkontest 2007

Per le semifinali della 14° edizione di Folkontest 2007 (il primo concorso italiano per gruppi emergenti dell’area folk ed etnico), su sessanta gruppi provenienti da tutta Italia, sono stati selezionati quattro gruppi: Ramà (Cuneo), Befolk (Novara), Martinicca Boison (Firenze) e Terrasonora (Afragola – Napoli).

La fase conclusiva del concorso si è tenuta dal 15 al 17giugno nel Monferrato (Alessandria). La prima semifinale, svoltasi il 15 giugno a Frassinello Monferrato (AL), ha visto sfidarsi sul palco igruppi Ramà e Befolk. A prevalere sono stati i piemontesi Ramà, gruppo che propone essenzialmente musica occitana. La seconda semifinale, che si è svolta il 16 giugno a Mirabello Monferrato (AL), nella bellissima Piazza Marconi, ha visto di fronte i fiorentini Martinicca Boison e i campani Terrasonora. Qui la decisione della giuria, composta da noti critici e musicisti esperti di musica etnica e folk, è stata molto incerta e difficile fino alla fine. I due gruppi si sono equivalsi in linea di massima in relazione ai tre punti cardine di valutazione: presenza scenica, tecnica musicale e repertorio (valutato sia dal punto di vista dei testi proposti che degli arrangiamenti). Alla fine a prevalere sono stati i Terrasonora, capaci, a giudizio della giuria, di avere un’identità folk più marcata e ben delineata.

La finale si è svolta domenica 17 giugno a Casale Monferrato (AL) nel suggestivo Chiostro di Santa Croce. Terrasonora ha sfoggiato una performance spumeggiante: è stata una vera e propria esplosione musicale, dovuta alla grande energia prodotta dal gruppo campano che li ha portati alla vittoria finale, condivisa sia dal pubblico (entusiasticamente coinvolto dal concerto dei Terrasonora in danze interminabili) che dalla giuria.

Quest’ultima – composta per l’occasione da Maurizio Martinotti (polistrumentista, ricercatore di musica popolare, del gruppo Tendachent), Roberto Sacchi (Direttore FB Bulletin), Gerardo Ferrara (Radio Onda d’Urto, Brescia), Paolo Bonfanti (musicista, bluesman) e Daniele Bergesio (Redattore World Music Magazine) - non ha avuto dubbi ed ha premiato i campani Terrasonora. Questa ennesima affermazione del gruppo, il cui nucleo originario è bene ricordarlo è di Afragola anche se da tempo vede coinvolti musicisti di Acerra e Somigliano D’Arco, ha una conseguenza importantissima. Infatti, a Terrasonora, quale vincitore di Folkontest 2007, spetterà di diritto la partecipazione, come unico rappresentante italiano, al prestigioso Festival Interceltique de Lorient, in Bretagna (Francia). Festival che si terrà da 3 al 12 agosto 2007 nella ridente cittadina francese, dove il gruppo sarà presente con tre concerti e concorrerà ad un altro prestigioso premio: miglior gruppo non celtico.

Un grande plauso va a tutti i musicisti: GAIA FUSCO – voce; FRANCESCO FERRARA – voce; RAFFAELE ESPOSITO – tastiere e pianoforte; ANTONIO ESPOSITO – basso acustico; GENNARO ESPOSITO – chitarra classica, acustica e 12 corde; ANTONELLO GAJULLI – percussioni; FABIO SORIANO – fiati etnici. Ma non solo, un grande merito musicale nonché ringraziamento va a MIMMO MEMOLI, che in occasione del festival ha sostituito al basso elettrico ANTONIO ESPOSITO. Ed ancora, grande merito a MASSIMILIANO PUNZO, fonico che da anni accompagna il gruppo e che permette a quest’ultimo di esprimersi al meglio ovunque è chiamato ad esibirsi. Infine, un ultimo plauso va a GENNARO ESPOSITO, autore dei brani, e a SAVERIO CARPINE che li ha musicati, ma che ha anche il merito di aver creato gli arrangiamenti.

VENERDI’ 29 GIUGNO 2007, ore 20:30, presso il Centro Commerciale “ I Pini “ di Casoria (NA), dove Terrasonora, con un Concerto Live, presenterà il nuovo CD “ Core e Tamburo “ (ed. Terre in Moto) e festeggerà la vittoria a Folkontest 2007

 

 

 

E' uscito il nuovo CD "Varda che bela luna" del gruppo veronese dei Folkamazurka che è stato presentato in prima nazionale sabato 12 maggio 2007 in piazza Brà a Verona, in occasione del concerto per la manifestazione “Le Piazze dei Sapori, colori, musiche e gustosità della tradizione popolare”. L'evento è stato inserito nei CONCERTI SCALIGERI, rassegna internazionale di musiche acustiche promosso dall'Assessorato alle Tradizioni Popolari del Comune

Questo CD nasce direttamente dal Campanar del diaolo, evento di riproposta di musiche, canti, danze e voci della tradizione popolare veronese e veneta che da tre anni batte i palcoscenici e le piazze della provincia di Verona e della regione Veneto.

“Dopo molte repliche all’attivo – affermano gli autori – abbiamo sentito la necessità di fissare questa straordinaria esperienza”.

E’ stato fatto uno sforzo per cercare di conservare nel disco le atmosfere suscitate dallo spettacolo dal vivo, inserendo – dove è stato possibile – anche le voci dal sapore arcaico ma ancora vive ed emozionanti dei vecchi interpreti che hanno insegnato queste melodie direttamente ai musicisti dei Folky, così come confidenzialmente vengono chiamati dai loro fans.

“Di alcuni brani, per offrire più chiavi di lettura – aggiungono i Folkamazurka - abbiamo accostato versioni raccolte in luoghi e tempi diversi. E' il caso della polesana del Minci, unita a quella, famosissima, pubblicata agli inizi del ‘900 da Francesco Balilla Pratella su “Saggio di gridi, canzoni, cori, danze, del popolo italiano”, o dei sette passi, danza veneta omologa allo siebenschritt bavarese, qui unita ad una versione per ensemble d’ottoni frutto di una registrazione ambientale in territorio austriaco”

Per questo lavoro la band scaligera ha voluto accanto a sé alcuni amici solitamente dediti ad altri generi musicali, ma che, come tutti i grandi musicisti, sono stati attratti e affascinati dalla apparente semplicità della musica popolare.

Sul palco di paizza Brà, in occasione della prima nazionale del CD saranno presenti:

Giuliana Bergamaschi: voce

Alfredo Nicoletti: chitarre e mandolino

Livio Masarà : violini

Massimo Muzzolon: fiati e ance

Paolo Martini: fisarmonica

Claudio Moro: chitarra e basso

Nicola Berti: percussioni

Mauro Dal Fior: voce narrante

 

 

 

FRA ORIENTE E OCCIDENTE

Quinta edizione a Trieste della rassegna Finestre del Mediterraneo 2006

Trieste città di frontiera; territorio di confine. Questo clima si respira ad ogni angolo del capoluogo giuliano: si sente nell’aria che si respira, passeggiando fra i vicoli contorti del centro storico, si assapora quando si cammina sul lungomare accarezzati dalla leggera brezza marina. La chiesa greco-ortodossa di San Nicolò, la comunità serba di Trieste: ogni angolo della città, ogni persona che incontri ti fa sentire a casa tua, come in un’altra qualsiasi città mitteleuropea. Coacervo di culture, di umori, di storie di vite vissute. Qui tutto è Europa, è immigrazione, è “passaggio”, storie di vite esiliate. Si può incontrare il vagabondo che non sa bene come sia giunto sin qui e cosa ci faccia in particolare in questa città, che convive fianco a fianco al familiare di una piccola, ma molto ricca comunità stanziale autoctona, erede di un popolo che ha fatto i soldi con i traffici e i commerci, le assicurazioni, i noli delle merci.

Il biglietto da visita di quest’affascinante città estrema è rappresentato dalla statale 14, la strada che si è ivitati a percorrere per giungere nel cuore della “città vecchia” uscendo dall’autostrada A4: diciotto chilometri di asfalto a strapiombo sul mare, fra gallerie scavate nella roccia e mare che si perde all’orizzonte. In questa meravigliosa cornice, impreziosita dal fascino che solo il mare d’inverno può suscitare, l’associazione Mediterraneo Folk Club, laboratorio di studio e ricerca sulle culture popolari, ha organizzato la quinta edizione della rassegna Finestre del Mediterraneo.

Quale contorno migliore per un festival all’insegna dei suoni, dei colori e delle contaminazioni che si accavallano fra culture e religioni diverse, repertori e lingue così dissimili eppure così vicine fra loro. Questa edizione si è sviluppata presentando vari eventi culturali che si sono poi articolati in più direzioni e che hanno avuto come unico denominatore comune il Mediterraneo: dalla musica e i canti del territorio marchigiano con Roberto Lucanero e il Gruppo spontaneo di Petriolo (canto e controcanto a vatoccu, voci in forma di discanto della tradizione popolare marchigiana) al greco Pérgamos Project (musica ellenica del primo Novecento), al serbo Redzep Mededovic (canto d’amore del Sangiaccato, regione della Serbia già contea ottomana di Novi Pazar) fino al napoletano: con il musicista Raffaele Inserra e l’associazione l’Intrecciata di Gabriele D’Ajello Caracciolo e Anna Perrotta. Napoli ha vantato una presenza forte in quest’edizione del Festival. Gabriele D’Ajello ed Anna Perrotta hanno portato con loro - anche sul palco del Teatro Stabile Sloveno - Raffaele Inserra, vero virtuoso della tamorra, grande esecutore nel segno della tradizione più autentica e Zì Fedele, ballerino ma soprattutto cantore, fra gli ultimi portatori di tradizione partenopea. Va segnalata anche la piéce teatrale Mamme, piccole tragedie minimali di Annibale Ruccello: eccellente promessa immaturamente scomparsa del teatro napoletano.

Autentica sorpresa della manifestazione triestina è stata Rosa Zaragoza, artista di grande sensibilità interpretativa e fra le più belle voci del panorama canoro catalano (con 12 dischi prodotti nel corso della sua carriera), che ha riproposto musiche e canzoni delle tre culture e religioni che si incontrano e si compenetrano in terra di Spagna: la tradizione cattolico-catalana, quella arabo-andalusa e quella ebraico-sefardita (giudei iberici). E’ stata aperta una finestra - per l’appunto – “…dove la storia, spiega Angela Bruno nella prefazione alla brochure che presenta la manifestazione, ha lasciato, insieme a tragiche impronte, tracce melodiche di un Levante immaginifico, ispiratore di buoni e cattivi orientalismi”.

Echi ottomani che si affiancano e si accavallano ai suoni dei bassifondi balcanici, melodie andaluse che si intrecciano al ritmo sempre uguale e sempre diverso della tamorra: per Trieste un’altra edizione all’insegna della tradizione più incontaminata possibile. Rigore, ricerca e ri-proposizione del patrimonio europeo più autentico grazie soprattutto all’impegno dei fondatori del “Mediterraneo”: Piero D’Agaro, Angela Bruno, Alessandro Leto, Maria Rascioni e Gianfranco Samese. Questi ultimi due, referenti per il nord-est dei festival organizzati da Francesco Marino in Puglia: Zingaria, in agosto e CapoDanze a Natale.

di Massimo Rimpici - Trieste, 2 dicembre 2006

 

 

 

Uno "straniero" alla Festa della Madonna dell'Arco (Pomigliano d’Arco - Napoli, 18 aprile 2006)

Un viaggio fra sacro e profano: tradizione, devozione mariana e nuovi riti collettivi

Le feste delle “sette Madonne” iniziano i primi di febbraio e finiscono a metà settembre con le Feste della Madonna di Montevergine (Avellino), passando per quella di Somma Vesuviana, Pagani, Scafati, Maiori, Nocera Superiore, eccetera.

L’area interessata è soprattutto quella dei paesi vesuviani che orbitano intorno a Napoli, ma si estende e si spinge anche in altre direzioni poco distanti del salernitano e dell’avellinese.

Per la Festa della Madonna dell’Arco, i devoti - chiamati anche “battenti”, coloro che battono a piedi nudi, o fujenti, cioè che fuggono, che corrono scalzi (per fare penitenza) - arrivano in paranze organizzate, spesso portando a spalla simulacri molto pesanti. Per l’occasione sono vestiti rigorosamente di bianco, l’unica nota di colore è la fascia azzurra portata a tracolla con l’immagine della Madonna e la fascia rossa allacciata alla vita. Giungono in corteo dai paesi di residenza: chi a piedi, chi a bordo di autobus, altri con mezzi propri. La festa inizia qualche giorno prima con la questua dedicata al santuario delle Vergine che si fa sempre in corteo, cantando inni e preghiere e suonando in acustico a mo’ di banda di paese. Il giorno in cui ricorre l’anniversario, i devoti si recano al duomo dedicato alla Madre per rendere omaggio per la grazia ricevuta o per richiedere il “miracolo" che servirebbe a guarire da una malattia o per alleviare e risolvere una disgrazia. Giunti alla soglia della chiesa, almeno questo si è visto il 17 aprile di quest’anno, si trascinano fino all’altare in ginocchio o completamente proni con il ventre all’ingiù, cantando, pregando o recitando poesie dedicate alla Madonna. Anche per i più scettici, l’impatto emotivo è molto forte ed emozionante: vedere numerosi cortei di persone tanto votate e deferenti non è spettacolo quotidiano.

Parallelamente a questo avvenimento, se ne celebra un altro particolare ed emozionante che si può ascrivere però in un ambito molto più profano, anche se altrettanto tradizionale, quasi come il primo. Si tratta del rito collettivo della danza, che in questa circostanza ha un nome e un tratto etnocoreutico ben definito: la tammurriata o “ballo sul tamburo”, tipico dell’area napoletana. Probabilmente la festa è occasione di incontro, di “raduno” e di evento da salutare anche ballando e cantando. Giovani e “anziani della tradizione”, armati di castagnette tenute in entrambe le mani, si divertono a riproporre le diverse figure che l’ampia collezione di questa danza – sottogruppo della più nota famiglia della tarantella meridionale – contempla. E’ un turbinio di movenze, colori e sorrisi, scanditi dal ritmo sempre uguale della tamorra che varia solo nel momento della vutata: tipica figura di questa danza eseguita in senso orario.

Nel week-end di Pasqua c’è stato modo di cogliere uno spaccato, un piccolo assaggio del clima che si respira in queste feste. Sacro e profano, tradizione e nuovo (anche se rigorosamente ancorato alla memoria) che si fondono, che si sfiorano, che si compenetrano anche se restano estranei l’uno all’altro nel caso della cerimonia religiosa e del ballo collettivo. Due mondi che si osservano, ma che restano divisi. Fatta qualche debita eccezione, che riguarda sicuramente una componente quasi trascurabile dei partecipanti all’uno e all’altro evento, si può osservare che da una parte insiste la massa di devoti, sentinelle della tradizione liturgica religiosa, dall’altra il popolo delle danze collettive: rito laico, secolare e “terreno”. Si potrebbe dire che in comune hanno un unico carattere distintivo: la tradizione. Così come le devozioni mariane trovano linfa vitale nel culto tramandato da secoli, il ballo e il canto popolare affondano le proprie radici nella memoria e nel costume, nell’usanza che si cerca di interpretare più fedelmente possibile all’antico. Di questo, fortunatamente, i giovani che partecipano a questi che sono quasi dei veri e propri rave del ballo trad sono profondamente consapevoli.

E’ diventata ormai tradizione, dopo i balli eseguiti in diversi punti della strada che porta diritto al Santuario della Madonna dell’Arco, concludere la giornata alla festa organizzata nella residenza di Tonino ‘Ostoc, produttore di strumenti musicali “della tradizione”. Così come quella che si organizza la sera prima della ricorrenza nel quartiere napoletano di Giugliano, patria della bellissima variante (giuglianese appunto) della tammuriata. Convivialità, ottimo cibo offerto dagli organizzatori, buona musica e balli all’insegna della trasmissione di memorie e del divertimento.

di Massimo Rimpici - Pomigliano d’Arco (NA), 18 aprile 2006

 

Un sincero ringraziamento a Maria Grazia, Corrado e Giuliana per l’ospitalità, l’affetto, l’occasione offerta, le informazioni, le emozioni ricevute

 

 

"CAMPANAR DEL DIAOLO" FRA LE MUSICHE VOTATE A LOANO

Il concerto-spettacolo dei Folkamazurka è stato inserito nella selezione del “Premio Nazionale Città di Loano” per la musica tradizionale italiana Loano (SV), 28 luglio 2006

Il gruppo musicale veronese dei Folkamazurka, insieme a Giuliana Bergamaschi (voce), Mauro Dal Fior (voce narrante e recitazione) e il gruppo folkloristico "el Paiar" di Bovolone (VR) con l’evento-spettacolo Il Campanar del Diaolo (nelle foto la prima nazionale dell'evento a Corte Molon, Verona) sono stati inseriti in graduatoria nel Premio Città di Loano (Savona) nella sezione “migliore produzione musicale”.

La manifestazione indetta dalla città ligure assegna tre diversi premi agli artisti che nel corso dell’anno appena trascorso si sono distinti per la migliore produzione musicale; per la carriera e il percorso compiuto a favore della valorizzazione del patrimonio culturale della propria terra; e alla realtà che abbia svolto un ruolo rilevante nel campo della musica tradizionale di radice italiana.

L’anno scorso, nella prima sezione del “Premio Città di Loano”, sono risultati vincitori Riccardo Tesi e Bandaitaliana con il disco “Lune”, quest’anno la giuria (composta da una sessantina di giornalisti musicali) assegnerà il primo gradino del podio - nell’ambito del festival Suoni della Tradizione in programma dal 25 al 28 luglio 2006 - all’album “La Valle dei Saraceni” del gruppo musicale piemontese dei Tendachёnt. Il secondo posto è stato assegnato al veronese Massimo Bubola per le musiche di “Quel lungo treno”. Quinta piazza ai Calicanto con il loro “Isole senza mar”

Premio Nazionale Città di Loano

 

 

 

 

 

CapoDanze 2005: un’edizione all’insegna degli anziani portatori di tradizione (Biccari - Foggia, 3 gennaio 2006)

Francesco Marino patron del Folkfestival CapoDanze (appuntamento che si svolge a Biccari - Foggia - a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno) ha fatto centro un’altra volta. Organizzare la settima edizione senza ripetersi, senza riproporre un programma “rituale”, ma cercando di innovare, di sperimentare nuovi approcci alla trasmissione di memorie, operando nel solco tracciato dalla tradizione popolare (la più autentica possibile), non è semplicissimo e nemmeno scontato.

Insieme ai “tradizionali” Balbalord, Lobas, Lucanero, Ballati tutti quanti, Diamantini e vari tammorrari, quest’ anno erano presenti anche alcune inedite espressioni culturali per un festival tradizionale come Capodanze: i kenioti Mijikenda, la afro-brasiliana Ana Estrela o il castigliano Daniel Peces Ayuso, Ma l’impronta più originale all’edizione 2005 è stata affidata ai cosiddetti “portatori di trazioni”, ovvero alcuni dei pochi interpreti anziani, ancora rimasti, della tradizione canora e coreutica (in questo caso) del Salento e della Campania. Un evento da non sottovalutare, se pensiamo che si tratta di esponenti di una o due generazioni precedenti a quella contemporanea. Nonni, spesso bisnonni, che hanno praticato e vissuto le trazioni là dove sono nate. Un valore unico, impreziosito dalla considerazione che successivamente, a causa delle guerre, di una certa idea del “progresso”, della necessità di ricostruire su basi nuove il futuro, un’intera generazione (quasi due) ha sottovalutato e abbandonato questo prezioso patrimonio, spesso considerato (a torto, con il senno di poi) retaggio dell’ignoranza, della povertà, della miseria da nascondere e da cancellare.

Grazie ad alcuni ricercatori, alcuni etnomusicologi, oggi (ma si potrebbe dire a partire dagli anni ’80 e ’90) questa preziosa eredità è rifiorita. E’ vero che esiste anche una lettura “modaiola” delle tradizioni popolari, della Pizzica Pizzica (collettiva) o delle Tammurriate (di gruppo), così come di altre espressioni tradizionali, ma è vero che esiste anche un entourage di valore (di giovani e di meno giovani), che è nato e cresciuto intorno ai ricercatori e che è riuscito a cogliere lo spirito più profondo di questo capitale e che ora cerca di preservare e di difendere; che ha colto tutto il valore di questo lascito ed ora si adopera per dividere, scegliere, distinguere le qualità più autentiche dai fenomeni di moda passeggeri, frivoli, senza spessore. A Biccari, a Capodanze, nell’edizione 2005, c’è stato un’ assaggio – prezioso – di questo clima, di questo fermento culturale.

Tessitrice di questa atmosfera, insieme a Francesco Marino, naturalmente, e ad alcuni giovani particolarmente attivi e attenti alle tradizioni doc, è stata la salernitana Mariella Lo Giudice, radicata conoscitrice delle fonti più autorevoli della tradizione campana e meridionale in genere e stimata interlocutrice presso gli anziani.

Quindi un Festival all’insegna della tradizione meridionale (o parte di essa), che si confronta con le altre culture italiane ed europee e con qualche incursione corsara nei valori di altre espressioni artistiche. Come non citare Daniel Peces Ayuso che ha insegnato i rudimenti (ad un festival di qualche giorno non si può fare altrimenti) di alcune danze castigliane: Boleros, Seguiduillas, Jotas; o Ana Estrela, afro-brasiliana di Salvador de Bahìa; oppure gli scatenati ballerini di capoeira del gruppo barese Ogum, e i kenioti dei Mijikenda. Un festival dedicato alla memoria di Matteo Salvatore, cantastorie e cantautore di Apricena (Foggia) scomparso l’agosto scorso e celebrato attraverso le sue canzoni e la sua musica dal suo unico allievo, Nicola Briuolo.

Sarà difficile superarsi nell’ottava edizione di Capodanze, ma credo che lo staff di Biccari e Francesco Marino in particolare abbiano già in mente qualche idea per arricchire il FolkFestival targato 2006.

di Massimo Rimpici - Biccari, 3 gennaio 2006

 

 

La regina di Spongàno (Biccari - Foggia, 3 gennaio 2006)

Dal suono di un tamburo può nascere un valzer? Se pensate di no dovrete ricredervi: i Btq-Ballati tutti quanti, noti pizzicari di Spongàno (Lecce), iniziano sempre con queste melodie le loro performance. I ballerini, attoniti, restano solo un attimo sorpresi, poi iniziano: un-due-tre, un-due-tre; i piedi, spesso, partono indipendentemente dalla volontà…. Terminato il valzer, il ritmo della pizzica-pizzica - inconfondibile - inizia a far muovere piedi e braccia in tutt’altro modo. E’ un vezzo quello dei Btq? Potrebbe esserlo, ma ha radici profonde nella tradizione. “E’ un modo - spiega Alessandro, il più grande dei tre fratelli Rizzello, alias Btq - per serbare memoria delle contaminazioni. Richiama il passaggio sulle nostre terre dei soldati, della gente del nord, al tempo delle guerre; ma rammenta anche le cantilene, gli stornelli imparate dai nostri paesani che sono andati in settentrione a combattere”. Forse - senza sciocche enfatizzazioni - è questa la vera essenza di Capodanze: il nord che si amalgama al sud, rispettando le singole peculiarità. Tammurriate, pizziche, tarantelle, sovrane delle danze meridionali, che si “fondono” ai branle, le polske, le bourrée. E se c’è una rappresentante simbolo di questi incroci-fusioni è senza dubbio nonna Pippina, classe 1926, 10 figli, 28 nipoti. Lei ha sempre abitato nella piazza centrale di Spongàno. Con il padre e la sorella Vittoria (più giovane di due anni) tutte le mattine, a piedi, si recava nei campi a lavorare oppure alla manifattura tabacchi, e sempre cantando: “Il canto - sostiene la regina di Spongàno – accompagnava sempre il lavoro e il cammino a piedi dal centro del paese al luogo di fatica. Ed è stato nostro padre che ci ha insegnato i primi stornelli, con lui intonavamo le canzoni delle nostre parti, poi siamo andate avanti da sole. Abbiamo ripreso e fatto nostre anche le cantiche del nord, quelle che ci riportavano i nostri uomini dalle terre lontane dove sono andati a fare le guerre”. Almeno 150 canzoni raccolte in cinque cd, annovera fino ad oggi la "discografia". Alcune di queste, infatti, sono in italiano e le musiche ricordano le arie degli alpini o quelle delle risaie padane.

Vedere ed ascoltare nonna Pippina Guida, una delle voci popolari ancora attive del Salento, è un’emozione forte. Abituata a cantare sempre con la sorella Vittoria, in sua assenza sembra chiedere conforto con lo sguardo ai nipoti (Alessandro, Carlo e Luca Rizzello) che la accompagnano con gli strumenti e con le voci. E’ lei comunque che guida e dirige i tre musicisti: con gli occhi, gli ammiccamenti, i bervi cenni. Alle volte tentenna, un po’ per l’emozione, un po’ per le 79 “lune” trascorse, poi, dopo l’attacco alla melodia del nipote di turno, riprende vigore ed energia, e le redini del ritmo.

I tre fratelli hanno un’attenzione particolare per nonna Pippina, ricordano - per fare un parallelismo - i ceramisti che sanno di avere fra le mani un vaso molto prezioso ma altrettanto fragile: tutte le cose antiche hanno la fragilità del tempo e la ricchezza della tradizione. Un’attenzione particolare, un misto di devozione e di amore, dolce, per quella che comunque per loro è e resta l’anziana nonna. Spavaldi e sicuri sul palco quando si esibiscono da soli per i ballerini che si aspettano energia e carisma, alla presenza della nonna si trasformano in nipoti dolci e delicati, pieni di attenzioni per l’anziana nonna, temendo di mettere a disagio la delicata signora.

Diverso è l’atteggiamento di papà Antonio, figlio di Pippina, anch’egli cantore salentino e suonatore di chitarra. Anche quando canta o accompagna con la musica, ha scolpito sul volto l’ossequio referenziale, irreprensibile verso l’anziana mamma e signora del tempo: a lui non sono concesse “sdolcinate” affettuosità, accettate e ricercate invece dai tre giovani nipoti.

Come frenare l’emozione di fronte alla visione di questo delicato quadretto familiare: tre generazioni che suonano e che cantano insieme in nome della tradizione e certamente lontani dai compromessi e dalle speculazioni commerciali.

di Massimo Rimpici - Biccari, 3 gennaio 2006

 

 

Fanfara Ziganka vincono a Folkest

Successo per il gruppo veronese Fanfara Ziganka. Nelle finali per l'ammissione alla prestigiosa vetrina di Casnigo (BG), il sestetto della città di Giulietta si aggiudica la possibilità di suonare a Folkest 2006 dopo aver superato anche l'ultimo ostacolo: hanno dimostrato una migliore performance dei diretti concorrenti Pivari Trio e La Moranera (gennaio 2006).

 

 

IL COMPLEANNO DI GIARE (Giare - Verona, 23 ottobre 2005)

Era il 22 ottobre del 1995 quando per la prima volta si riunirono musicisti e ballerini nell'antico borgo della Valpolicella (VR)

Ebbene sì, sono trascorsi dieci anni da quando qualcuno (poi cercheremo di capire un po’ meglio chi fu il vero fondatore di Giare: l’indagine è apparsa assai complicata!) nel piccolo ma accogliente teatrino adiacente alla chiesetta di Giare di Sant’Anna D’Alfaedo (Verona) tentò di riportare – fra gli abitanti del caratteristico borgo – la musica della tradizione, quella che serviva a far ballare nelle contrade, nelle modeste piazze dei paesini delle vallate e delle montagne veronesi.

C’è chi sostiene fosse stato il bravo musicista Olivier Geay di Annecy (Francia) ma all’epoca cittadino di Marano di Valpolicella; altri sostengono fosse stato il violinista-chitarrista Arturo Zardini della contrada Pezza, sempre di Marano di Valpolicella, scomparso nel 2001. Altri, il parroco di Giare e di Vaggimàl, ex prete-operaio, don Giovanni Gottoli, che con la sua fisarmonica pretendeva di raccogliere i popolani del luogo per far rivivere la tradizione della musica suonata e ballata dai contadini della Valpolicella e dai montanari della Lessinia.

Se queste furono le vere origini e le ragioni profonde che diedero inizio all’avvenimento Giare, altri furono i destini di quel piccolo-grande evento che è oggi.

Qualcuno infatti sostiene che il combattivo prete di campagna riuscì solo agli inizi a coinvolgere gli abitanti del borgo e delle vicine contrade, poi il “fenomeno” prese un’altra piega, e ai suonatori tradizionali del luogo si sostituirono le “nuove generazioni” di musicisti che per un periodo suonarono a Giare insieme a Olivier Geay: Otello Perazzoli, Massimo Muzzolon, Maurizio Diamantini (all’epoca più attivo come ballerino che come musicista), Francesco Pagani, Davide Fiorini e Andrea Ranzato. Il palchetto di Giare può inoltre vantare di aver tenuto a battesimo oggi blasonati musicisti che all’epoca erano illustri sconosciuti, provenienti dalla Brianza, da Padova, dal Veneziano, dal Trentino e dall’area delle “Quattro Province”.

Anche gli abitanti dei borghi vennero ben presto sostituiti dai ballerini appassionati di danze popolari provenienti dalla città (Verona) così come da altre province.

Rimane comunque da sottolineare che si è sempre cercato di mantenere la tradizione sia nella musica che nel ballo. E almeno in questo non è mai stato tradito il vero spirito di Giare.

Oggi è ancora così: musica rigorosamente dal vivo, qualche rara canta a cappella (bisognerebbe ravvivare di più questo prezioso patrimonio) e tanti balli della tradizione popolare.

Perfino il “vecchio” volantino giallo che rinnova l’appuntamento ogni penultima domenica del mese è sempre lo stesso: quello che per la prima volta venne abbozzato dai fondatori con l’intenzione di confezionarne uno migliore, ma che alla fine è rimasto invariato negli anni.

Quest’anno – per festegGiare (citando un vecchio gioco di parole legato al borgo e all’evento) degnamente il decennale, dall’Alta Savoia, da dove risiede attualmente, è sceso con la sua musica e il suo violino anche Olivier Geay con il quale hanno suonato per l’occasione non meno di una decina di altri musicisti. Oltre a quelli già menzionati erano presenti Alfredo Nicoletti, Livio Masarà, Giancarlo Battilani, Piero di Iorio, “Bertocesco” da Bovolone, Katiuscia Lorenzini e Fabio Muzzolon.

Sotto il palco diversi ballerini veronesi, ma anche alcuni provenienti da Trento, Bologna, Firenze e Treviso.

Insomma una bella festa culminata con una grande tavolata (grazie alla pasta e fagioli di Livio Masarà e all’organizzazione di Luisa Capitani e Sara Spadina) ed un fuori programma da pelle d’oca.

Verso la fine della serata Olivier ha infatti chiesto ed ottenuto la parola: “Arturo Zardini era un contadino - ha detto - coltivava le terra, produceva vino e una delle ultime volte che ci siamo visti mi ha regalato una bottiglia di amarone di sua produzione. Questa bottiglia io l’ho conservata per un’occasione speciale: ebbene penso che sia giunto il momento di stapparla!”. L’emozione è salita alle stelle, Olivier ha aperto l’amarone e ne ha centellinato il contenuto fra i presenti.

Si è quindi ripreso a suonare e a ballare, consumando e rinnovando un rito ancora molto vivo e culturalmente molto apprezzato dagli appassionati. Ricordando e celebrando i fondatori di quello che ormai tanti cultori del popolare del centro e del nord d’Italia conoscono con il semplice nome del borgo veronese, è stato passato virtualmente il testimone agli attuali frequentatori, con l’auspicio che il “carma” di Giare venga degnamente tutelato almeno per i prossimi dieci anni.

di Massimo Rimpici

 

 

 

 

Il "popolare" si presenta alla città (Illasi, Verona, 26 settembre 2005)

Si è svolto lunedì 26 settembre il primo incontro del coordinamento dei gruppi veronesi che si ispirano alla tradizione popolare e di quelli più legati al folklore.

Fra i presenti: il Gruppo Ricerca Danza Popolare di Verona; l’associazione culturale Cantafilò; l’associazione corale e strumentale Canzoniere del Progno; il gruppo musicale Tremalnaik; Livio Masarà dei Folkamazurka/Folkaballo.

Hanno dato inoltre la loro adesione, pur non essendo presenti, il gruppo folkloristico El Paiar e Maurizio Diamantini.

Non riferirò qui del dibattito che si è sviluppato, in verità molto articolato e variegato, ma mi limiterò ad illustrarne le conclusioni.

Durante la serata è stato proposto di presentare un progetto alle Istituzioni Pubbliche, senza sottovalutare l’ipotesi di proporsi anche ad Enti e società private, per una ”vetrina” del “popolare” veronese in città.

Una prima ipotesi potrebbe essere quella di prospettare una ”due giorni” presso un sito adeguato, dove i gruppi veronesi interessati al progetto (in totale il comprensorio ne conterebbe non meno di una quindicina) si alternerebbero per presentare i loro repertori.

Un’altra idea è quella di offrire agli interlocutori un “catalogo” dei gruppi scaligeri, con foto, descrizione dei repertori e delle produzioni allo scopo di consegnare un panorama completo alle Istituzioni pubbliche e private utile nel caso volessero inserire con maggiore frequenza il “popolare” nelle varie manifestazioni cittadine e provinciali.

Un’altra opportunità potrebbe essere quella di richiedere al Comune di Verona uno spazio ben preciso in un angolo ben definito e sempre uguale della città, in un determinato giorno della settimana (a periodi), dove a turno le compagnie veronesi (anche due alla volta) siano presenti per offrire alla città il proprio repertorio e la propria produzione.

Lo scopo di quest’ultima presentazione/esibizione avrebbe il duplice fine di autofinanziare parzialmente l’ attività del gruppo vendendo il proprio materiale direttamente in piazza (cd) e di sottoporre agli Enti una dimostrazione pratica finalizzata a ricevere dagli stessi eventuali ingaggi per serate, esibizioni ed eventi.

Evidentemente queste tre ipotesi non sono necessariamente alternative l’una all’altra.

Massimo Rimpici - Illasi, 26 settembre 2005

 

 

Ande, bali e cante (Rovigo, 11 settembre 2005)

Da San Marco a Santiago de Compostela, cita il titolo della manifestazione, una distanza apparentemente impossibile da colmare, ma che Ande, bali e cante, Festival di musica e cultura popolare del Veneto ha saputo egregiamente riempire con un calendario fitto di eventi e di musicisti di buon livello.

Il tempo clemente, un’organizzazione ben curata, un menù di eventi ricco, equilibrato e mai banale, un bouquet di artisti stimolante e prestigioso hanno decretato il pieno successo del Festival di Rovigo, giunto quest’anno alla sua quarta edizione.

Un riscontro di pubblico e di critica in crescendo rispetto alle edizioni precedenti, a giudizio di molti addetti ai lavori e di semplici “consumatori” di musica, cultura e danze popolari.

La manifestazione ha previsto e organizzato numerosi appuntamenti diversificati per contenuti, forme, spazi e tempo. Dalle mostre agli stage di danza e di strumenti; dagli “aperitivi musicali” agli incontri con gli artisti; dalle danze popolari eseguite in piazza al suono della musica dal vivo alle degustazioni dei piatti tipici polesani; dai concerti serali al “notturno”. Quest'ultimo è stato la vera sorpresa della manifestazione: in uno scenario molto emozionante, all’interno del meraviglioso chiostro del Monastero Olivetano (attuale sede dei Museo dei Grandi Fiumi), illuminato quasi esclusivamente da lumi e candele, le dolci melodie dell’ottimo gruppo musicale galiziano Milladoiro ha sorpreso per la dolcezza e incantato per l’affiatamento degli otto strumentisti che hanno avvolto con le loro note gli appassionati presenti fino quasi all’alba di domenica 11 settembre.

Se questo è stato l’evento clou delle manifestazione, come non citare il frizzante e giovane gruppo musicale delle Asturie (nord della Spagna) dei Tarañu, per la prima volta in Italia. O il super collaudato e bravissimo duo Silvio Peron e Gabrielle Ferrero, oppure il più che noto gruppo veneto dei Calicanto (fra i fondatori del Festival di Rovigo) con la splendida voce di Claudia Ferronato. E ancora: i “canterini” spontanei dei Trallallero (4 Province, Liguria) o le band musicali che hanno accompagnato le danze del Gruppo Ricerca Danza Popolare di Verona (Folkaballo) o quelli della Farandola di Vicenza (Fanfara Ziganka) ed infine (senza citarli tutti) i padroni di casa: Ande, Cante e Bali di Rovigo.

Insomma un percorso musicale e culturale di ripresa e riscoperta delle tradizioni popolari più autentiche affascinante ed emozionante, che ha attraversato l’”Occitania”, passando per le Asturie, la Catalogna e il Portogallo, con in mezzo i marinai di Genova ed suoi canterini da “bettola” ed una tappa nell’Europa dell’est, per giungere fino in Veneto.

L’appuntamento è per l’anno prossimo, seconda di settembre (o giù di lì), ma per vincere la nostalgia già presente nell’aria immediatamente prima della conclusione dell’ultimo brano del concerto dei Milladoiro all’Auditorium Bisaglia (sul palco erano presenti anche i musicisti dei Calicanto, per una jam session composta da ben tredici superbi suonatori) l’etnomusicologo e direttore artistico del Festival Roberto Tombesi ha dato appuntamento a tutti i presenti per il più vicino 2 ottobre, presso l’Agriturismo Valle delle Gombe (Teolo, in provincia di Padova) per l’addio all’estate o la festa di inizio autunno ("...l'importante è trovarsi...") con castagne, gnocchi, musica e danze popolari per tutti.

Massimo Rimpici - Rovigo, 11 settembre 2005

 

 

La fisa di Belzebù (corte Molon - Verona, 4 agosto 2005)

Prima nazionale a Verona del nuovo spettacolo dei Folkamazurka: El campanar del Diaolo

 

Mentre il tramonto si spegne per accogliere la notte il cielo è cupo, qualche nube più scura delle altre sembra farsi minacciosa. Appena le luci del palco si illuminano, anche la volta celeste però sembra riaprirsi e le ampie zone di sereno prendono il sopravvento.

Le numerose persone sedute comodamente in quella piazza magica che è Corte Molon sono concentrate, ed attendono con emozione che l’evento abbia inizio.

El campanar del Diaolo, i Folkamazurka hanno scelto questo simbolo delle contrade di montagna del primo novecento veronese per presentare il loro nuovo spettacolo. Lo sforzo di ricerca, studio e ri-proposizione delle vecchie cante e della musica degli antichi suonatori delle valli veronesi (che hanno fatto soprattutto Livio Masarà e Alfredo Nicoletti) viene premiato dall’impatto equilibrato e suadente che lo spettacolo ha sul pubblico.

La serata si snoda dolce e struggente fra musiche, canzoni, danze (del gruppo folkloristico “el Paiar” di Bovolone) e recitazioni - di Mauro Dal Fior - con continui riferimenti alla vita rupestre e alla sopravvivenza difficile e faticosa sui monti e nelle campagne rurali della Verona che non c’è più.

Già dalle prime note, la bella voce di Giuliana Bergamaschi anticipa il calore e l’emotività che caratterizzerà la rappresentazione. Il resto dell’emozione è affidata alle note di Alfredo Nicoletti, Livio Masarà, Paolo Martini, Massimo Muzzolon e Giuseppe Piazzi.

Cultura, intelligenza ed equilibrio: sicuramente è questo il motivo del successo della pìece di inizio agosto in lungadige Attiraglio. Sentimenti semplici; piedi per terra: ben ancorati ai valori autentici, alla vita naturale di cui oggi abbiamo perso il sapore. Musicalità; note genuine: suoni vetusti, ancora così attuali. Storie di vite crude, scarne, essenziali ma splendidamente reali. Acquerelli vocali e strumentali per disegnare “…l’erba fresca e bella” o il rumore “dell’acqua che sberla le pale dei mulini”. Così si esprimeva Domenico Anselmi, detto il Minci (da San Bortolo) con la sua fisarmonica, o Fiorina Chesini, straordinaria figura di cantante-pastora della Valle dei Progni.

Alla vita dura e difficile di tutti i giorni fanno da contraltare però le giornate di festa in occasioni di ricorrenze religiose o di matrimoni ed è allora che il Minci e i suoi amici musicisti riescono a chiamare a raccolta nelle corti e nelle polverose piazze dei paesi, montanari e coscritti per celebrare il rito della musica e della danza tutti insieme: “campanari del diavolo”, secondo qualche prete di allora, “…ai quali forse non piaceva quella loro capacità di radunare gente semplicemente per divertirsi, una volta tanto, e dimenticare l’asprezza della vita di montagna…”

di Massimo Rimpici - Corte Molon, giovedì 4 agosto 2005

 

 

La prima volta a Gennetines (Les Gauthiers - Francia, 31 agosto 2005)

Sudore e polvere, in estrema sintesi si potrebbe adottare questa come iconografia “gennetiana” se si volesse rappresentare l’edizione 2005 di quello che si dice essere uno degli eventi clou della danza popolare (e in parte anche della musica trad) europea.

Quest’anno le condizioni meteorologiche di quella parte della regione francese hanno risparmiato ai partecipanti del Gran Bal de l’Europe il fango (altro elemento che qualche anno prima aveva caratterizzato l’evento ludico): la pioggia è caduta sporadicamente, per qualche manciata di minuti, e - a tratti - anche in presenza del sole. Ma sempre poco abbondante, occasionale, indubbiamente benefica rispetto alla posizione della colonnina di mercurio in quel periodo.

Immaginatevi l’aperta campagna contadina, fatta di distese interminabili di campi aratri color sabbia, o gialli per il grano appena falciato, che arriva fino all’orizzonte. Ovunque vi giriate sempre distese di campagna francese, qualche casupola rurale, un cavallo allo stato brado, un piccolo gregge di pecore dal vello color champagne e la testa scura, delle mucche bianche al pascolo. In un piccolo lembo di questo sterminato paesaggio bucolico si trova Les Gauthiers, la località agreste dove per una settimana (o poco più se si considerano i tempi per allestire e quindi sbaraccare la location) si accalcano più di duemila persone, organizzati in tre-quattro camping che i più benevoli chiamano liberi, ma che in realtà sarebbe più giusto definirli “selvaggi”.

Via vai di persone che a tutte le ore (sollevando notevoli quantità di polvere) fanno la spola tra i camper e le tende “residenziali” e la zona degli stage e dei balli (che si trova a circa 500 metri di distanza dai primi): quindici fra capannoni e locali in muratura di cui dodici dedicati agli stage di giorno e alle danze la notte e tre–quattro per la zona cucina e l’organizzazione generale.

Imprescindibile dalla polvere è il sudore, trasmesso, emanato, attaccato, trasferito da pelle a pelle, passato da mano a mano, da spalla a spalla dagli stagisti alla mattina o al pomeriggio e dai ballerini di notte.

La giornata inizia alle 10,30 con i primi corsi che durano almeno un paio di sudatissime ore, quindi i mini stage che si svolgono nella pausa pranzo (per i più stacanovisti), quindi colazione, doccia quando non ci sono interminabili code di persone in attesa della agognata acqua-e-sapone, quindi altri stage, altre sudate che vanno dalle 15,30 alle 17,30 e (quasi sempre in un altro capannone) altro corso dalle 17,30 fino alle 19,30. Altra doccia, altra coda, cena frugale al campeggio o coda alla mensa allestita dagli organizzatori. Sono le 21,30 e per chi è riuscito a fare tutto, sempre di corsa, quasi sempre in coda è arrivato il momento top, il più bello, il più conviviale e con le energie in qualche modo “ricaricate” per l’evento si consuma il rito collettivo che è la ragione stessa del viaggio e della “vacanza”, dell’avvenimento: le danze tutti insieme.

Decine di persone a coppie o in cerchio che si accalcano numerosissime nei capannoni dall’aria quasi irrespirabile. Salti, adorabili balli, risate, qualche spintone, ma tanta musica, tanta bellissima, dolcissima, deliziosa musica, suonata dai migliori interpreti europei del genere che giunge direttamente alle tue orecchie dai loro strumenti, senza mediazioni, senza supporti multimediali se non la classica amplificazione. Suoni unici, melodie strazianti e coinvolgenti, allegre, gioiose o più impegnate, suonate per re-interpretare quello che si sapeva già ballare o che si è appena appreso per accennare a nuovi passi, a nuovi incroci di piedi, di gambe. La bagarre, ufficialmente, termina intorno alle quattro di mattina. Ma mentre alcuni capannoni si chiudono in quelli rimasti aperti, con le persone che non sono andate ancora a letto nonostante la stanchezza (e ce ne sono di più di quello che si potrebbe immaginare) si consuma un altro rito collettivo caratterizzante Gennetines: le jam session, le fusioni di musicisti, di gruppi musicali, di singoli suonatori, che si mescolano, si fondono insieme, che si dividono dal gruppo di appartenenza e che si uniscono ad altri, o che suonano tutti insieme per offrire delle performance irripetibili, improgrammabili, spontanee, uniche.

Ma se questo vale per i neòfiti, i novellini o i “malati” delle danze popolari, diverso è il discorso per i veterani, coloro che frequentano da diversi anni il Gran Bal. Questi hanno ritmi diversi, più accorti: colgono e scelgono solo il meglio di quello che offre “l’Evento”. Calibrano energie e coltivano passioni. Si muovono da esperti in mezzo ai capannoni; conoscono danze e maestri di ballo; storie, biografie e discografie dei musicisti. Curiosano di giorno, sorridono sornioni ciondolandosi fra gli atelier, si gustano le difficoltà altrui pensando ai tempi passati, e attendono la notte. Ed è di notte che si esprimono al meglio: gestiscono, condizionano, dirigono i ritmi della danza; presenza colta e autorevole di chi sa, chi conosce, chi compie i passi seguendo i tempi scanditi dalle melodie; ha vissuto i ritmi indigeni nei luoghi dove ancora si praticano fra la gente comune. Custodi attenti, rigorose sentinelle della tradizione, che vivono la responsabilità di un patrimonio prezioso da preservare, il più intatto possibile.

Tutto questo ed altro è Gennetines, ma la sua vera essenza resta l’energia. L’energia prodotta tutta insieme da un numero così importante di persone unite dalla stessa passione comune. Pura energia che vibra sulle pedane, sui palchi allestiti per i maestri e i musicisti, che sprigionano i ballerini che danzano gomito a gomito, che circola nell’aria umida dei tendoni, che passa da uno strumento all’altro, che attraversa gente fino ad allora sconosciuta ma che il ballo ha unito per sempre.

E allora il sudore e la polvere non si sentono più, non si vedono più, la stanchezza nemmeno, il sonno è cacciato via in attesa della prossima melodia, della prossima danza: liturgia collettiva, quasi ossessiva, che si consuma all’infinito, fino all’alba. Per ricominciare il giorno dopo.

di Massimo Rimpici - Gennetines, 31 agosto 2005

 

 

Lassù in Lessinia, per suonare, cantare, ballare e.........coordinare (Malga di Parparo Alto, Monti Lessini, Verona, 18 giugno 2005)

Forse è nato un piccolo coordinamento dei gruppi della provincia (e della città) che si occupano di musica, danze, canti e tradizioni popolari. Ovviamente non è un circolo chiuso ed è aperto alle adesioni di tutte le altre associazioni (musicali, di balli, di canti, di cultura popolare) interessate a partecipare a questa iniziativa.

Da una piccola riunione informale, avvenuta sabato 18 giugno a Malga di Parparo Alto, è nata l'idea di creare un coordinamento in grado di rivolgersi agli Enti Pubblici in maniera unitaria per proporre un progetto di presenza in città dei gruppi che operano nel settore delle tradizioni popolari. Fra i promotori di questa iniziativa erano presenti: Cantafilò, El Paiar, GRDP (Gruppo Ricerca Danza Popolare), i Musici di San Giorgio di Valpolicella, il Canzoniere del Progno, Fanfara Ziganka, e un gruppo ancora in costruzione che si occupa di ricerca musicale cimbra (scusate se ho omesso qualcuno, ndr).

Era presente anche Adriano Bissoli (El Paiar), Presidente Regionale del F.I.T.P. (Federazione Italiania Tradizioni Popolari), ma alla riunione avrebbero dovuto partecipare anche Dino Coltro e Beppe De Marzi, che per impedimenti di varia natura hanno disertato l'appuntamento.

Hanno brillato per la loro assenza anche diverse altre compagnie, probabilmente perchè non contattate, fra le altre: La Resella di Pescantina, i Campagnoli di Rosegaferro e i Folkamazurka (naturalmente non le ho citate tutte.....perdonate,ndr)

E' bene sottolineare ancora una volta che le adesioni sono assolutamente libere, ma soprattutto ancora aperte alla partecipazione e al contributo di chiunque fosse interessato.

Dopo vari interventi, opinioni e suggerimenti è emersa la proposta di Otello (Cantafilò) di presentare alle Istituzioni un progetto. L'idea sarebbe quella di chiedere un giorno fisso alla settimana, per un certo periodo dell'anno, in un posto ben definito della città (una piazza, l'angolo di passaggio di un crocevia, ecc.) sempre lo stesso, dove si alternerebbero con una loro esibizione uno dopo l'altro i singoli gruppi.

Lo scopo è dare visibilità ad una realtà che ad alcuni svariati luoghi della provincia veronese è ben conosciuta, ma che la città ignora quasi totalmente. E resta sconosciuto altresì il numero delle associazioni, la loro varietà, ma soprattutto la ricchezza del loro patrimonio. Tutto questo anche per far conoscere alle nuove generazioni da dove veniamo; per non disperdere un' eredità così ricca; per coinvolgere i più giovani: futuri custodi di questo prezioso "capitale".

Non è certo un ambiziosissimo progetto, ma una modesta proposta che ha però raccolto il consenso di tutti e che indubbiamente rappresenterebbe un primo passo concreto in grado di coagulare attorno a sè l'adesione di tutti gli altri gruppi non presenti in questa occasione. Ma soprattutto è un'offerta semplice, realistica e di alto valore culturale che dovrebbe trovare, senza difficoltà, il consenso degli Enti comunali, provinciali e regionali preposti alla valorizzazione del nostro patrimonio tradizionale.

Del resto tutte queste realtà organizzate sono veicoli degli stessi "beni paterni": la musica, il canto, il ballo, la lingua è bagaglio comune che sta rischiando di scomparire (dalle nostre parti più che in altri luoghi della provincia italiana, dove il recupero delle tradizioni e del sapere popolare è stato efficacemente recuperato ed è tutt'ora mantenuto "vivo"). E si tratta delle nostre radici più profonde che col tempo sono state travolte e sommerse dalle varie mode di turno: le canzoni di origine andina, piuttosto che le danze e la musica latino ameriacana. Tutte rispettabilissime origini e tradizioni, ma che non sono (semplicemente) le nostre.

Per cercare di definire nel dettaglio questo progetto è stata fissata la data di un primo incontro ed il luogo al quale dovrebbe partecipare un rappresentate delegato da ogni singolo gruppo: lunedì 26 settembre 2005, probabilmente a casa di Luisa (Canzoniere del Progno) ad Illasi. E' stato inoltre deciso che questo sito (www.calendarfolk.it) e la sua e-mail maxrimpici@tiscali.it avrà l'onore e l'onere di coordinare l'iniziativa, raccogliere le adesioni e mettere in contatto fra loro tutte le varie realtà.

La premessa a tutta questa iniziativa, se non fosse ancora sufficientemente chiaro, è una e inderogabile: i singoli gruppi che aderiranno al coordinamento e a questo progetto parteciperanno con le loro specifiche peculiarità, il loro patrimonio, il loro repertorio e il proprio ambito di interesse. Nel senso che la diversità tra i gruppi, le differenze dei generi, rappresentano un valore per questa proposta e conferiranno ricchezza culturale all'iniziativa.

di Massimo Rimpici - Malga di Parparo Alto (VR), sabato 18 giugno 2005

 

 

Veronafolkfestival edizione 2005 (Verona, 28 maggio 2005)

Si è svolta venerdì e sabato 27 e 28 maggio in piazza Brà la nuova edizione di Veronafolkfestival. Un progetto sostenuto dalla Preside Renata Borghesani e messo a punto su iniziativa di tre insegnanti di scuola media (Barbara Mazzon, Maurizio Diamantini e Giorgio Scarpi), e che quest’anno è giunto al suo terzo appuntamento.

Lo scopo, patrocinato dal Comune di Verona, è quello di promuovere la conoscenza e la valorizzazione di realtà socio-culturali diverse, il recupero delle tradizioni e delle usanze della propria e di altre culture attraverso il coinvolgimento diretto degli alunni.

Il clima sereno e festoso, la buona temperatura fatta registrare dalle giornate , anche se un po’ calda, hanno sancito il completo successo delle due date: più di settecentocinquanta allievi hanno animato piazza Brà eseguendo (sabato mattina) alcune danze di cerchio e fra queste quattro in particolare: Circolo circassiano, Chapelloise, Luisiana e la veneta Taco punta.

Entusiasmo ed allegria alle stelle condita dalla soddisfazione delle insegnanti che si sono spese per la buona riuscita dell’evento.

In piazza dodici diverse scuole, veronesi e non: Scuola Media Battisti, Media Betteloni, Media Agli Angeli, Elementare Pergine (TN), Elementare Nogarola e Medie M.L. King. (al venerdì); e Scuola Media S.Annna d’Alfaedo (VR), Elementare Don Mercante, Ipa Stefani di Caldiero, Istituto Marconi (VR), Scuola Media Fincato-Rosani ed infine Medie Giovanni XXIII (di sabato) per un totale di 1.280 allievi iscritti.

Gli organizzatori avevano consegnato per tempo (settembre 2004) alle insegnanti un cd completo di descrittive delle quattro danze e un mini filmato didattico con l’esecuzione delle stesse. Sulla base di questo materiale, le insegnanti hanno preparato le esibizioni degli allievi.

Sul palco gli alunni in costume della Scuola Media Giovanni XXIII – fiore all’occhiello dell’iniziativa - e immediatamente sotto tutti gli altri, con magliette colorate diversamente per facilitarne il riconoscimento. Passi eseguiti a coppie, swing, urla festose e applausi dei numerosi spettatori sotto i gradini del Municipio di Verona e fra le scenografie delle opere areniane, che in questo periodo svettano maestose ed autorevoli in piazza Brà.

Quest’anno la somma messa a disposizione del Comune di Verona per confezionare le t-shirt che di solito servivano a commemorare le giornate folk veronesi, sono state devolute al progetto di solidarietà veronese-brasiliano di “Vila Esperança”

L’appuntamento è rinnovato al prossimo anno, per la quarta edizione, sperando nel coinvolgimento di altre scuole e non solo veronesi.

Visita il sito: www.veronafolkfestival.it

di Massimo Rimpici - Verona, 28 maggio 2005